Dal processo Gramigna bis un segnale d'allarme preoccupante
Condanna degli imputati per 47 capi di imputazione. È la richiesta avanzata da Codici e Forum delle Associazioni Antiusura nell’udienza di ieri del processo Gramigna bis, in cui il Pubblico Ministero ha chiesto oltre 630 anni di carcere, fino a 30 per i capi clan. I reati contestati sono i più vari: violenza, spaccio, riciclaggio, usura, estorsione, esercizio abusivo del credito, il tutto aggravato dal metodo mafioso.
“Ci siamo uniti alla richiesta formulata dalla Procura – dichiara Ivano Giacomelli, Segretario Nazionale di Codici – perché siamo di fronte a fatti estremamente gravi. Questo processo ha fatto emergere, però, anche un altro dato preoccupante, ovvero la mancata costituzione di parte civile delle vittime. Questo, a nostro avviso, deve suonare come un campanello d’allarme per le istituzioni e per la politica, sia locale che nazionale. Nonostante le intercettazioni e le prove raccolte, nonostante il fatto che molti dei responsabili siano in regimi di restrizioni di libertà personale, le vittime hanno deciso di non presentarsi in aula. Un dato su cui è doveroso riflettere attentamente e che dimostra che condannare non basta. Bisogna rilanciare le politiche per contrastare la criminalità organizzata, il che significa riconquistare terreno sul fronte della legalità dando un segnale concreto di vicinanza e supporto a chi si trova in una situazione di difficoltà ed anche di pericolo, a chi rischia di finire in mano agli strozzini e che magari, una volta precipitato nell’incubo dell’usura, preferisce il silenzio alla denuncia perché ha paura, perché non si sente sicuro, non sente lo Stato al suo fianco”.
“Solo pronunciare i nomi dei Casamonica, Di Silvio e Spada incute paura – afferma Carmine Laurenzano, avvocato di Codici – e tutto ciò ha tenuto lontano le vittime dal Tribunale in questo processo. Una circostanza che deve far pensare, considerando anche il ricordo di questi giorni della strage di Capaci e l’eredità morale lasciata da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Le istituzioni non godono della fiducia delle vittime. Servono strumenti efficaci, penetranti. Serve la presenza dello Stato a colmare i vuoti che le grandi inchieste, come Gramigna bis, lasciano nel tessuto economico e sociale. Se non interverrà lo Stato a colmare quei vuoti, interverranno altre organizzazioni criminali e i cittadini si sentiranno sempre più soli, avranno sempre meno fiducia nelle istituzioni”.