In Cina c'è lavoro non scorto

La Cina ha deciso di ingraziarsi i dati sulla disoccupazione estendendo il concetto di "occupato" a nuove figure professionali come i blogger e i giocatori competitivi online. Lo riferisce oggi il South China Morning Post.



Il ministero dell'Educazione cinese, secondo una nota ufficiale, ha ordinato alle università di adottare nuovi criteri nel riferire dell'impiego dei neo laureati. Questo dopo che l'occupazione, anche nella seconda economia del mondo, è stata duramente toccata dall'epidemia COVID-19.

Secondo l'Ufficio nazionale di statistica cinese il tasso di disoccupazione, a fine maggio, sarebbe risultato essere il 5,9 per cento; gli analisti ritengono però che si tratti di un dato falsato dal fatto che circa 290 milioni di lavoratori migranti non sono considerati nelle statistiche ufficiali.

I nuovi criteri comunicati dal ministero, con una nota datata 29 maggio, prevedono che i neolaureati che aprono siti di e-commerce siano inseriti come "occupati" se forniscono il link del loro sito di e-commerce e i dati di registrazione.

Invece i laureati con lavori freelance nel marketing online, i gestori di siti internet, gli operatori di marketing su WeChat e i giocatori di e-sport online sono considerati "occupati flessibili" che comunque escono fuori dalla percentuale dei disoccupati.

Bella no? I conti con l'oste tornano: se ti muovi appena, lavori; se invece scalpiti, sei flessibile.

Signori d'Oriente, si può anche tentare di fare come intendete fare. Se pensate invece di voler strafare si può: c'è gente da voi che ancora non può; vorrebbe però poter spendere come si fa in Occidente, senza sosta né freni.

Fa bene questa spesa e chi la fa per poter bilanciare la vostra economia votata più all'esportazione, meno ai consumi interni, nel tempo che deve attrezzare una risposta acconcia a quella de-globalizzazione che sembra intravvedersi all'orizzonte e che farebbe schiantare, per eccesso, l'intera capacità produttiva del Paese.

Suvvia, nell'Economia dei Consumi, il lavoro della spesa che genera reddito; quel reddito che serve a fare nuova spesa. Tocca allocare quelle risorse di reddito per remunerare chi, con la spesa, crea lavoro e ne paga il costo remunerando tutti; pure quelli del Capitale, magari pure quello pubblico.

Non vi appaia un'eresia dover remunerare chi lavora senza sosta/ferie/assistenza nè previdenza a fare la spesa per trasformare la merce in ricchezza che, consumata, fa riprodurre; tiene attivo il ciclo economico, da' sostanza alla crescita. Giust'appunto quella crescita che rende indifferibile l'esercizio e che, per potersi esercitare, impiega risorse scarse: il tempo, l'attenzione, l'ottimismo e il denaro.

Mauro Artibani, l'economaio